Due arcivescovi e un leone – da un registro di Fossabanda di Pisa
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Due arcivescovi e un leone
(Da un registro di Fossabanda di Pisa)


Nel Trecento a Santa Croce di Fossabanda dimorarono le suore domenicane che gestirono le proprietà del loro monastero tramite il “sindaco” Oddo de Pace, frate dello stesso Ordine, di quelli di Santa Caterina.
Di lui non sappiamo altro.
In questo periodo però il suo Ordine ebbe tale prestigio in città da dare alla Chiesa pisana due arcivescovi consecutivi.
Il primo fu un suo omonimo, fra Oddo de Sala, già vescovo di Pola in Istria, di Oristano e primate pisano dal 1312.
Benefattore della sua diocesi, ne ampliò i redditi e le prospettive.
Come scrive l’Ughelli in Italia Sacra: “oblata est Oddoni egregia occasione, ut in Imperatoris gratiam se insinuaret” – incontrata egregia occasione, si insinuò nella grazia dell’imperatore (Enrico VII di Lussemburgo) – .
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e ottenne privilegi e conferme di diplomi antecedenti sulle rendite delle corti di Pappiana e di Livorno e sulla facoltà di costruire case e quindi di popolare San Piero a Grado e dintorni (1313).
Nel 1323 sarebbe stato nominato patriarca di Alessandria.
Gli successe a Pisa il confratello fra Simone Saltarelli, entrato adolescente a Santa Maria Novella di Firenze e, considerato, in tutta la sua carriera conventuale, di buona reputazione.
Sempre l’Ughelli riguardo a Pisa scrisse: Ecclesiam ad multos annos summa cum laude administravit – per molti anni amministrò la Chiesa con il massimo elogio.
Morì nel 1342.
Il suo sepolcro rimane uno delle più belle sculture di Santa Caterina.
Tornando al sindaco delle suore di Fossabanda, fra Oddo compilò un libro di possessioni del monastero.
Contiene, elencate per località, la descrizione di terre e case provenienti, lo scrive più volte, da generose donazioni-lasciti di benefattori o dalle stesse suore, che le avevano acquistate “de propria pecunia”, cioè del denaro personale, dato da rendite o da elemosine, e reinvestito nel patrimonio collettivo.
Le suore citate appartenevano in generale a famiglie o a cerchie di possidenti piuttosto coese e, poiché l’epoca dava importanza alla proprietà e agli interessi comuni, mostravano un certo orgoglio per la loro città e nel partecipare al rafforzamento della loro religione anche tramite i beni.
Tra il 1287 e il 1293, ad esempio, una Damiata “oblata” donò al convento della terra con casa nella cappella di San Pietro in Vincoli.
Portò un nome significativo perché ricorda la località contesa dai pisani nella quinta Crociata (dove nel 1219 giunse anche San Francesco di Assisi ) e disputata anche nella settima Crociata (1249): Damietta sul delta del Nilo.
Invece Telda del fu Baccone, sposata a un lucchese, nel 1306 donò alle suore delle parti di case e terre presso San Simone di Parlascio accanto a un chiasso e a un chiassatello.
La condizione era che dopo la sua morte e quella di fra Domenico “da Parlascio”, domenicano, la pigione e il reddito servissero a far avere al monastero una “pietanza” (= un piatto di carne) per l’anima sua nell’anniversario della morte e per quella dei parenti deceduti.
Il residuo sarebbe dovuto andare ai frati per un’altra pietanza da somministrare il giorno di San Quirico a giugno.
Nel 1309 la quarta parte restante di queste proprietà fu comprata, tramite il sindaco Bonagiunta, da Masina detta Gina del fu Masino di Parlascio.
Il reddito costituì la “pecunia” di suor Bernarda vita sua natural durante.

Riguardo ai luoghi scritti nel registro, è interessante ricordare il Castellare a San Giusto a Cisanello, resto toponomastico di una fortificazione in rovina già a quei tempi.
Essendo dismesso nei suoi apparati di difesa, lo stesso Cisanello era ricordato solo come “Villa”, e con dei campi estesi lungo la via omonima.
Era anche la sede dei beni del frate domenicano Uguccione e del fratello Ciolo di Banniti Uccelli che nel 1291 li vendette alle suore “ex pecunia” di suor Vannuccia che “misit monasterio” (li immesse nel monastero).
Nel 1300 i fratelli divisero le proprietà con atto pubblico.
Nel 1302 vendettero altra terra, situata presso i beni degli eredi di Benetti giudice di casa Orlandini, a frate Oddo de Pace che la comprò sempre con la pecunia delle suore.
I confini di Cisanello comprendevano allora anche le Piagge limitate per un capo dall’“aggere” (argine), per il secondo capo dall’Arno e nei lati da terra di private persone.
Altri proprietari o lavoratori dal nome curioso della zona, oltre ai fratelli Uccelli, erano un Francesco Mezzo Uovo, un Beldì (= Bel giorno) senese e un Lupo di Bernardo.

Tornando agli arcivescovi pisani, troviamo come nel 1312 Datuccia figlia del fu Bonacorso Lignacci, lasciasse per testamento alle suore parte di terra alle Piagge e parte di terra pratata a “Villa Auzeris” verso Cafaggiareggi.
Le quali – si scrive – “dederunt frater Simon Saltarelli tunc prior in conventu pisano” e un certo Ranieri, entrambi suoi fidecommissari, cioè esecutori.
Segnaliamo il fatto perché ci sembra un inedito sul celebre arcivescovo, allora priore di Santa Caterina.
Datuccia da parte sua legò la terra alle suore con la condizione che non la potessero vendere o alienare e che del reddito fossero tenute a dare ogni anno ai frati 4 staia di grano e due pietanze, una delle quali come d’uso, il giorno anniversario della sua morte.


L’ultima nota riguarda il “Catallo extra porta Leonis”, oggi ricordato da un largo Catallo e da una porta nelle mura presso piazza dei Miracoli con sopra la scultura di un leone.
Si chiamava così però non per l’immagine della fiera, ma perché, pare, servisse per accesso “ordinario” ai francesi di Lione (così il Tronci).
In Catallo nel 1310 fra Marino da Cascina comprò da Dinga moglie di Lippi Buglia Fave, dai suoi beni “parafernali” (extradotali), della terra ubicata presso la “tegularia”, la fornace di tegole, degli eredi di Palavigini “de Curte”.
Usò la pecunia, per la metà, di suor Puccia di Lotterio e, per la quarta parte, di suor Gregoria.
La terra confinava con i prati dei frati Umiliati, con i beni del Capitolo e dell’ospedale dei canonici e con una interessante strada pubblica che andava alla “Villa de Piro et a Ponte Albale”, ovvero – pensiamo – allo scomparso Sant’Ilario di Piro e ad Albavola (Pontasserchio).

Paola Ircani Menichini, 24 luglio 2020. Tutti i diritti riservati