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L’huom salvatico,
il Campo Canapaio
e i Cinque Archi di Pisa

Il 24 luglio 1594 Margherita, figlia di Bonaccorso casentinese e vedova del funaio Goro del fu Pasquino “alias l’huom salvatico”, dispose per testamento di essere inumata nel sepolcro delle suore dei servi di Maria in Sant’Antonio ed elesse, come suoi eredi universali, i “Pauperes Christi” (i poveri di Cristo) ed esecutori-fidecommissari Damiano Gottardi e Banco del fu Michele dei Banchi di San Gimignano abitante in Pisa.


Di certo Margherita, detta la Salvatica, un tempo aveva aiutato il marito nella bottega familiare che forse era presso le sue due case al Campo Canapaio (via Crispi) nella cappella di San Cassiano e che nel testamento legò, una alla nipote Orietta figlia della figlia Antonia, e l’altra ai frati carmelitani.
Lasciò anche sette scudi e una “turcam buratti” (poltrona, tipo di stoffa?) a Elisabetta moglie del fornaio Bartolomeo di Sebastiano alias il Gatto e un paliotto “di quei d’oro” alla chiesa di Santa Lucia dei Ricucchi.
Il vicinato d’altronde era come una seconda famiglia.
Al rogito, avvenuto “in domo furnarii contra campum ad Canaparium”, era presente un nutrito gruppo di colleghi artigiani: Niccolaio del fu David dei Benedetti cuoiaio, Adriano del fu Iacopo dei Paci alias Salamanca sellaio, Agostino del fu Francesco di Massa di Carrara servo dei Vivaldi, Cosimo di Antonio Lacca cuoiaio, Bastiano di Domenico di Bastia di Lunigiana cuoiaio, Francesco di Giovanni Bizzarri fiorentino scalpellino e Bernardino di Lazzaro funaio.
Gente che viveva del proprio mestiere.
In specie i cuoiai e il sellaio dovevano servirsi della “concia” lì vicina, anch’essa dei carmelitani che l’avevano avuta tra 1488-1490 da fra Cosimo di Benedetto d’Antonio di Cirignano a sua volta erede della madre Agata.

Un Campione di beni sempre dei carmelitani del 1659, oltre alla concia, ricorda una casa “sopra il canto della nostra” Piazza in via Sant’Egidio (Corso Italia), comprata nel 1381 dall’abate di San Paolo a Ripa d’Arno.
Contiguo al complesso e “sopra la porta del convento” c’era pure l’orto costituito da diversi appezzamenti con edifici.
Una parte risultava acquistata nel 1326 dalla nobile Giovanna vedova di Vanni e altri cinque pezzi con pari numero di case sopra erano pervenuti nel 1359 da persone di cui non è detto il nome.
Le parti si trovavano nella cappella di San Cristoforo in luogo detto Ai Cinque Archi.
Essendo antichissime e rovinate, le case erano state restaurate nel 1608 e ridotte a numero di tre.
Altre parti dell’orto invece erano pervenute ai carmelitani nel 1381 grazie all’abate di San Paolo.


Il Campione ricorda poi nella cappella di San Lorenzo in via della Foglia (esistente) altre sei case avute la prima nel 1464 (dal maestro Piero sarto del Piemonte), la seconda nel 1518 (da fra Lorenzo), due nel 1526 (a livello dall’Ospedale Nuovo) e due tra 1593 e 1606 (da prete Alessandro Romiti o Ranuzzi da Castiglion fiorentino).
Anche la cappella di Santa Cristina ospitava immobili carmelitani in via del Garofano (oggi via Garofani), lasciata da ser Francesco Crocetti nel 1629), in piazza dei Grilletti (esistente), avuta nel 1605 dal cavaliere Doria genovese) e in piazza del Cappello (piazza dei Facchini).
Dell’ultimo edificio abbiamo scritto.
Resta da aggiungere, sulla scorta dei nuovi documenti, che era assieme a cinque magazzini tutti di pertinenza dell’osteria del Cappello.
L’osteria era stata acquisita dall’Ordine tra 1539 e 1543 da Gualtierotto di Francesco Cei fiorentino e da Bartolomea moglie di Giovanni Maria d’Antonello alias il Cappello dal Ponte a Sieve.

Paola Ircani Menichini, 8 novembre 2019.
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