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1810 - 2010: la soppressione degli Ordini religiosi in Toscana

Testo di Paola Ircani Menichini - pubblicato in Reality Magazine, n. 55, anno XIII n. 1/2010 pag. 42,43

La storia della Chiesa cattolica tra Sette e Ottocento mostra, a chi voglia approfondire gli avvenimenti e la politica del tempo, contraddizioni evidenti e cambiamenti radicali. La prima metà del secolo XVIII trascorse in una relativa tranquillità, nel conformarsi del popolo cristiano e dei governanti alle regole e alle «pratiche» assorbite pienamente dal Seicento; la seconda metà invece vide l’affermarsi di filosofie materialiste e una conseguente crisi nei rapporti fra gli stati nazionali e la Chiesa, soprattutto sul campo di battaglia della sopravvivenza o meno degli Ordini regolari.

In Toscana le controversie si appoggiarono alla corrente eretica del giansenismo, il cui rappresentante più illustre fu il granduca Pietro Leopoldo. Pertanto varie leggi e motupropri furono promulgati per disincentivare i giovani ad entrare nei conventi, innalzando l’età della vestizione e della professione, togliendo l’autorità ai superiori, intervenendo sulle doti per le monache, imponendo un esame da parte della Segreteria del Regio Diritto, sopprimendo le compagnie laicali e altro ancora. Dal 1785 i monasteri femminili dovettero scegliere se restare di vita comune, sottoposti al vescovo, oppure diventare un «utile» conservatorio (scuola) per le giovani sotto giurisdizione di un «operaio» laico e con personale secolare (maestre oblate).

La Rivoluzione aggravò la crisi, che in Francia dal 1789 al 1801 si articolò in tre momenti: la promulgazione della Costituzione Civile del Clero nel 1790, la soppressione degli Ordini religiosi, e la persecuzione contro il cattolicesimo, che coinvolse anche papa Pio VI (morto prigioniero a Valence nel 1799). La Toscana tuttavia era indipendente e relativamente tranquilla e, dopo la pace di Luneville (9 febbraio 1801) e il concordato tra Napoleone e Santa Sede, i suoi religiosi poterono tirare un sospiro di sollievo. I regnanti, che ora erano i Borboni, tra 1802 e 1804 emanarono alcune leggi con le quali ordinarono ai conventi di ritornare sotto l’obbedienza dei loro padri generali e alle dipendenze della Santa Sede, secondo le norme del vecchio Concilio di Trento. I vescovi ebbero la facoltà di riconvertire i conservatori femminili in monasteri e le novizie ed ex maestre oblate poterono così professare e diventare suore.

Appena pochi anni più tardi però una seconda prova di forza oppose l’Imperatore a Pio VII, provocando una crisi più grave che in Toscana si manifestò dal 1808 al 1810. Infatti dal 27 ottobre 1807 l’ex Regno di Etruria dei Borboni era entrato a far parte dell’Impero Francese con il trattato di Fontainebleau. Dal 14 aprile 1808 era stato diviso in tre dipartimenti e dal marzo 1809 era ritornato un granducato, con a capo Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone, anche se la direzione degli affari era rimasta a Parigi. La soppressione degli Ordini religiosi quindi rappresentò il conseguente espandersi della crisi tra Francia e Chiesa e si articolò in tre anni.

La prima ordinanza fu del 29 aprile 1808 dell’Amministratore generale della Toscana Eduard Dauchy ed interessò tutti gli istituti di vita consacrata tranne gli Scolopi, i Minori e quelli che apportavano un contributo alla vita civile come stabilimenti di carità, ospedali e scuole. Ma degli uni e degli altri - soppressi o «provvisoriamente conservati», come è scritto nella legge - i beni di proprietà entrarono a far parte dell’Amministrazione del Registro e Demanio, per essere venduti ai privati, mentre ai religiosi fu corrisposta una pensione che doveva essere sufficiente per vivere.

I decreti imperiali del 24 marzo e del 9 aprile 1809 invece fecero una parziale marcia indietro, e ristabilirono alcuni conventi di suore, in veste solo di conservatori, e quelli degli Ordini mendicanti nel godimento dei loro beni, con il dissequestro o la restituzione delle entrate già riscosse dal Tesoro Pubblico.

Il decreto imperiale del 13 settembre 1810 infine impose la definitiva e generale soppressione, revocando tutte le leggi anteriori: la chiusura dei conventi fu stabilita entro il 15 ottobre, e la proibizione di portare l’abito regolare entrò in vigore dal I novembre.

Va detto che dal 1808 per i monasteri la povertà materiale si era aggiunta all’incertezza del futuro. Già nell’aprile dei commissari avevano visitato e inventariato conventi, chiese e cappelle, scuole, archivi, e avevano espropriato quadri e oggetti di valore e argenterie che avevano inviato alla Zecca di Firenze. Dal 1810 poi la maggior parte degli ex religiosi non ebbe più nemmeno una casa e dovette abitare presso i parenti o arrangiarsi come meglio poté.

La situazione cambiò dopo la caduta di Napoleone, nel 1814. Ritornato Ferdinando III al granducato, i superiori generali degli Ordini prepararono il ripristino dei rispettivi monasteri in Toscana. Fu istituita dal governo una Deputazione sopra i Beni Ecclesiastici, ma la povertà della popolazione era grande. Pertanto i piccoli conventi non furono più riaperti, e per i conventi più grandi il granduca e la sua amministrazione stimarono opportuno compensare i vecchi espropri con dei fondi, invece di restituire i beni che ora facevano parte del patrimonio pubblico o erano stati venduti ai privati.

Nella fotografia la Toscana nel 1808 al tempo dell'annessione e della divisione nei tre dipartimenti dell'Arno, del Mediterraneo e dell'Ombrone.