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Visita alla Sambuca (Livorno)

Su la Sambuca nei Monti Livornesi scrisse il Targioni Tozzetti (Relazioni):
« ... si legge, che un giovane fiorentino, il quale aveva nome Michele, per gran divozione e amor di Dio ... fu mandato a S. Maria della Sambuca, per edificare, perché era un gran maestro di edificii, e avendo invidia gli spiriti maligni alla sua buon’opera, incominciaronlo a mettere in un’accidiosa malinconia sì per l’aspra solitudine, e sì perché non aveva compagnia maestrevole all’edificio ...».
Il brano è riportato in un opuscolo del 1982 dai caratteri sbiaditi. Si intitola: Un monumento da Salvare La Sambuca, a cura del gruppo per la Tutela dei Beni culturali e ambientali di Livorno e provincia – Antologia di relazioni su l’antico romitorio livornese.
Da esso prendiamo un secondo testo, scritto da Oreste Minutelli (1833-1911), pittore “appassionato collezionista di memorie livornesi. È intitolato:

LA SAMBUCA – Ricordi e appunti

«Morto già nella Badia del S. Salvadore il B.G. Colombini, il p. Girolamo bramando ampliare il numero dei Romitori inviava, tra le foreste dei poggi di Monte Masso e del Corbulone, Luca della Terina e Michele da Firenze che, incontrate non lievi difficoltà, non di meno riuscirono ad ultimare il convento entro l’anno 1367. Il convento, dedicato alla Beata Vergine insieme alla chiesa, era ristretto e solo capace di contenere dal 15 ai 20 reIigiosi; era situato nel fondo di una angusta valle, una specie di buca e perciò fu detto Sambuca ossia di Santa Buca.
Tutto però inspirava raccoglimento, meditazione e sublimità di concetti: avevano colà i Gesuati scelta una sì recondita località per condurre vita penitente e monacale e per potervi soggiornare con maggiore sicurezza per i frequenti sbarchi degli infedeli saraceni.
Nella Vita di alcuni Servi di Iesu Christo, i quali furono nella Compagnia dei Poveri volgarmente chiamati Iesuati, data alla luce in Siena per Casisto Francesco di Simone Bendi a dì XXVII di ottobre MDXLI ad istantia di Giovanni d’Alessandro Libraio, si leggono varie leggende intorno a questi eremiti.

“Esisteva effigiato in pittura a fresco nel convento stesso un Gesuato col suo mantello rossiccio; ma anche questa pittura è quasi che perita, vedendosene appena adesso le orme”. Il convento di forma quadrata con in mezzo un piccolo giardino conserva tuttora, meno le poche alterazioni, la forma e le parti antiche, che riteneva ai tempi dei Gesuati. È alquanto piccolo, e di aspetto piuttosto povero senza alcuna di quelle dimensioni magnifiche ed imponenti, di cui tanti altri monasteri della medesima età si vedono sempre forniti. L’Ugione [torrente] uscendo ivi quasi dalla sua sorgente scorre al di sotto delle sue magnifiche muraglie, formandosi una piccola cascatella. La chiesa è incorporata nel convento, e non costituisce perciò una fabbrica separata; mentre ricorre in un lato sotto le celle che abitavano i frati. È piccola, poiché misurata con i miei passi naturali, la riscontrai non averne che 19 in lunghezza ed 8 in larghezza. Contiene tre altari, il maggiore e due laterali. Il coro dietro l’altare maggiore, di forma circolare, non poteva essere capace che da 10 a 12 monaci sedenti. L’altare maggiore conserva tuttavia il quadro a olio di cui parlava il Targioni. L’altare minore a destra, entrando nella chiesa, è ornato di una pittura a fresco divisa in due quadri rappresentanti l’uno l’angelo, e l’altro la B. Vergine Annunziata. Mi parve lavoro pregevole assai, e di mano maestra; poiché vi notai una grande somiglianza con le migliori pitture a fresco dei celebre Campo Santo di Pisa.
Deve essere opera di non molto tempo posteriore alla fondazione del convento; mentre dal labbro della Vergine sorte a caratteri gotici in oro il motto “Ecce Ancilla”. Il volto della Vergine è delicato e bellissimo quello dell’Angelo esprime al tempo stesso la riverenza e il giubilo, da cui era compreso il celeste messaggero nell’atto di eseguire la grande missione. Questo affresco meriterebbe i maggiori riguardi per mantenersi ben conservato, come tuttora fortunatamente lo è. Fanno ornamento al medesimo vari arabeschi di sotto i quali si legge a lettere in legno, pure dorate iscrizione:
Dono fatto da Porti del Chanto de la Fortezza vecchia et altri Benefattori di Livorno 1636.
Nell’altare minore si venera un Ecce Homo di terra cotta di squisito disegno.

Visitando io quest’antico cenobio rinvenni nella chiesa le iscrizioni, dalle quali appariva, oltre l’epoca della istituzione dei Gesuati e quella della loro soppressione, anche il giorno della sacra della chiesa: per mano dell’arcivescovo monsignor Giuliano Ricci nel dì 11 di ottobre del 1442, ed infine la fondazione di una uffiziatura nella chiesa stessa fatta coi lasciti di Michele Tonci livornese nel 1934.
L’arcivescovo Ricci (1449) giunto alla Sambuca progettò ai Gesuati di quell’antico cenobio di far passare una porzione della loro religiosa famiglia in Montenero e di assumervi la custodia della S. Immagine della B. Vergine delle Grazie che colassù tuttora entro piccolo oratorio da alcuni eremiti si venerava; di fabbricarvi un loro convento e di erigervi anche una chiesa, nella quale la SS. Immagine predetta potesse più decorosamente traslocare. Sembra che i frati aderissero volentieri al progetto poiché infatti tra ben pochi anni il vedremo portato da loro stessi ad effetto.
Nel 1455 monsignor Giuliano Ricci, che affidò la custodia dell’Immagine di Montenero ai Gesuati della Sambuca, donò molto terreno coltivabile e boschereccio a questi religiosi, aiutati ancora dalle offerte dei fedeli che spianarono una parte del monte e, abbattuto il primitivo oratorio, edificarono nel luogo stesso una chiesa con un piccolo convento; essa è la medesima che al presente si vede, meno il loggiato esterno, l’atrio e la tribuna.
Finita la chiesa posero la sacra Immagine sopra l’altare maggiore, in quella tavola di bianco marmo bellamente a bassi rilievi lavorata, che ora nella sagrestia si osserva, dove sonavi scolpiti fra gli altri ornamenti e simboli il B. Giovanni Colombini fondatore dei Gesuati, S. Girolamo loro protettore, S. Ermete, ed il B. Francesco dell’Ordine stesso: è giudicato buon lavoro del secolo XV e fu encomiato da insigni artisti, non escluso il Canova. Questa pala d’altare venne creduta opera del Montorsi, gesuato rinomato scultore prima che nel 1530, lasciando quest’abito, vestisse quello di Servita alla qual cosa fare (come dice il Vasari) lo persuase fra Martino de’ Servi mostrandogli come gli Ingesuati non facessero “altro che dir paternostri, fare finestre di vetro, stillare acqua, acconciare orti, e altri somiglianti esercizii; e non istudiare, nè attendano alle lettere. Fu al nuovo ordine accettato il 7 ottobre, considerata la casa haver d’un simile bisogno; dicendo esso saper dipingere, et far le imagini; et bisognando il convento potrà servirsene”. Vi professò a’ 20 novembre dell’ anno dipoi, e nel febbrajo 1532 (stil fiorentino) il p. Priore lo propose per fare le imagini, con quei patti e condizioni che furon condotti gli altri avanti a lui”.
Maestro Silvio del fu Giovanni da Neri da Cepparello scultore dimorante in Pisa fabbricò l’altare di Montenero nel 1530 per fiorini 225 larghi di oro in oro pagabili da fra Giovan Francesco del fu Matteo da Firenze con alcune condizioni.
“Questi umili Monacii Gesuati”, presero consegna nel 1455 dell’allor modesto e disadorno oratorio di Montenero , ed una bolla del pontefice Pio II del 1463 confermò agli Ingesuati la custodia e possesso del suddetto Santuario.
... ci stettero più di 200 anni.

Ne Il Paradiso dei Gesuati del R. P. F. Paolo Morigi , milanese dell’Ordine de’ Gesuati di S. Girolamo, si raccontano oltre alla vita del beato Giovanni Colombini, le sante vite di alcuni frati della medesima religione e alcune leggende riferibili alla vita del padre Spinello.
Il crocifisso che si conserva nella cappella della Assunta a Montenero edificata dai Gesuati nel 1631, ed eretta dalla Congregazione degli Ortolani è quello stesso che il padre Spinello venerava nella grotta del Salvatore al romitorio dov’egli spesso vi si portava a condurre vita solitaria e penitente. Morì in odore di santità a Bologna nel 1433.

Chi bramasse conoscere altre Vite di beati o leggende di questo vetusto cenobio della Sambuca, che util cosa sarebbe fosse ripristinato nel suo primitivo splendore, legga nel sopraddetto rarissimo libro del Paradiso dei Gesuati stampato nel 1582, Venezia, a pagine:
104-117 I Gesuati a S. Maria della Sambuca.
120 Il beato Nanni a S. Maria della Sambuca.
150 Il beato Girolamo detta.
157 Il beato Piero Carducci a S. Maria della Sambuca.
183 Il beato Michele alla Sambuca.
187 Il beato Luca alla Sambuca indi a Pisa.
191 Il beato Luca alla Sambuca.
247 Padre Spinello (alla Sambuca).
285 Padre Egerno alla Sambuca.
311 Padre Bartolomeo Brunardi alla Sambuca.

L’abito dei Gesuati era tunica bianca stretta ai fianchi con cintura di cuoio e cappuccio bianco, zoccoli e mantello tanè. Nel 1668 Clemente IX soppresse l’Ordine. Il loro stemma era il Nome di Gesù in campo azzurro con raggi gialli e per di sotto una colomba simbolo di candore in ricordo del padre Colombini loro istitutore. Il sigillo che trovasi conservato nel Regio Museo Nazionale di Firenze, scaffale n. 4 (187) (1898) porta inciso questa iscrizione Sigellum presbiteri Nicolai Ecclesie Sancte Marie de Sambucis MCCCC.
Nel dì 18 luglio 1873 visitai questo antico monastero ed era la terza volta che vi andavo in compagnia di tre amici. Copiai la veduta del cenobio, registrai quelle cose che altri innanzi di me non avevano osservato.

Ecco lo stemma che era sopra la porta del convento e che tuttora si veggono i resti (1899): Paolo V. Pont. Max. qui ordini Jesuator S . Hieronimi ut Joanne Colombini anno 1355 institute ab Urbano Papa V. anno 1367.
Sotto lo scialbo delle pareti vi sono i segni non dubbi di qualche pittura a fresco identica per lo stile all’altra che si vede a destra entrando nel vano di uno dei tre altari rappresentante una bellissima testa di Nostra Signora (l’ Annunziata) che, potendo ai lati di questa leggermente grattare l’intonaco, sono sicurissimo di veder sorger l’angelo compimento del sullodato quadro. Del resto queste pitture sembrano offrire molta affinità allo stile di quelle della scuola giottesca che si ammirano nel vetusto Camposanto di Pisa e forse frescate contemporaneamente. Bellissima e molto antica è la pila dell’ acqua santa con figure simboliche.
Questa pila esisteva nell’agosto 1874; fu rimossa e portata in casa Mangani per essere collocata altrove. Sono nove figure in bassorilievo esprimenti l’ Adorazione dei Magi; è lavoro antecedente alla fondazione del monastero cioè verso il Mille. È opinione degli intelligenti che questa pila appartenesse alla pieve del castello di Montemassi e che, distrutto, fosse collocata nella chiesa di S. Maria della Sambuca.

Dietro queste mie brevi notizie il commendator Mangani, allora proprietario del suddetto monastero fece, da persona competente, cominciare a scrostare le nascoste pitture e costatò che erano di pregio incontestabile. Perchè non seguitare? Nella sagrestia osservai una scatoletta minuta con stemma del convento per uso delle ostie ed un antico aspergesse di ottone».

Oreste Minutelli

Trascritto da Paola Ircani Menichini, 10 gennaio 2020.

Le foto degli esterni della Sambuca sono tratte da Google Maps (Carlo Raucci, dicembre 2019); quella dell’Annunciazione dal sito “Livorno per caso” (oggi è conservata nel Museo dei Bottini dell’Olio” di Livorno).