RONDINE DI GIULIA la beata della Rena a Certaldo
e i luoghi della sua memoria

L'articolo in «pdf»


A Certaldo Alto, in prossimità della chiesa dei Santi Filippo e Giacomo, un tempo dal titolo dei Santi Michele e Giacomo, si trova una sala che conserva le memorie della beata Giulia della Rena.

Spesso e volentieri, dicono i custodi del museo di cui fa parte, vi dimora una rondine che, non essendo quello il luogo appropriato, dopo un po’ viene fatta uscire. Puntualmente vi ritorna. L’abbiamo incontrata anche noi l’estate scorsa durante una visita.

La rondine naturalmente attira la curiosità dei ragazzi e di quelli che sono rimasti tali nell’animo. Per alcuni, che cedono alle suggestioni, va a trovare ogni tanto a sua discrezione, la beata o meglio certe memorie relative perché i resti non riposano nella sala ma in chiesa, in un’urna decorata da un’antica predella con dipinti i miracoli da lei compiuti. Sono in verità poco lontani dalla tomba di un famoso scrittore suo contemporaneo: Giovanni Boccaccio († 1375). Ma, per una volta, non è lui il protagonista della storia; lo è questa donna che fu molto più modesta. E non solo dal punto di vista letterario.

Giulia, figlia di un certo Pace, nata a Certaldo nel 1319, infatti apparteneva a una famiglia decaduta e per questo, giovanissima e costretta dal bisogno, dovette lasciare il castello per andare a Firenze, a servizio in casa di certi Tinolfi. Nella città però ebbe occasione di frequentare la chiesa di Santo Spirito dei padri agostiniani e tanto le piacquero i valori dell’Ordine che nel 1337 ne prese l’abito di terziaria, cioè da laica, senza monacarsi. Lo stesso anno, diciottenne, tornò a Certaldo, dove fu protagonista di un avvenimento eccezionale: salvò un bambino dalle fiamme nell’incendio di una casa. Mentre intorno la gente gridava rassegnandosi allo strazio di una morte atroce, lei entrò nell’edificio, si avvicinò al letto dove il piccolo stava terrorizzato e, prendendogli la mano, lo portò fuori in salvo. Subito nel castello nacque l’ammirazione per il suo coraggio, ma, di carattere schivo, Giulia si mise in disparte, progettando di condurre un’esistenza del tutto particolare. Poco dopo infatti andò a stare in una celletta attigua alla sagrestia della chiesa dei SS. Michele e Giacomo, e qui seguì l’uso delle donne penitenti del medioevo: vita in solitudine, mortificazione, preghiere per tutti, e sostentamento tramite le elemosine. Erano molte allora a seguire questo modus vivendi. La più antica conosciuta, di circa il 1216, era stata una Lucia, inglese del Bedfordshire che le carte ricordano «reclusae i(n) cimiterio sancti Eadmundi».

Giulia più di un secolo dopo fece lo stesso e anche nell’isolamento mostrò cose straordinarie. Narra la sua storia che spesso i ragazzi o altre persone si affacciavano alla finestrella della cella e le offrivano del pane. Lei li ricompensava con dei fiori in qualsiasi stagione. Nessuno però sapeva dove li avesse colti, non potendo uscire all’aperto in alcun modo. Forse – si diceva nel castello – nascevano e fiorivano proprio dentro la cella.


Trascorse così trent’anni, senza venire meno al suo proposito. Fino al 9 gennaio 1367: quando le campane di Certaldo cominciarono a suonare senza che qualcuno tirasse le funi. I castellani dapprima non si resero conto del motivo, poi capirono che annunciavano la morte della loro concittadina. Corsero alla cella e, abbattuta una parete, ne trovarono il corpo esanime, chinato in ginocchio in preghiera al Crocifisso, con vicino un sorprendente vaso di fiori freschissimi e odorosi. Una tela, che si trova nella chiesa, raffigura Giulia in questo atteggiamento: ha il viso scuro dalla morte mentre i fiori sull’altare mostrano i loro colori vividi. Nella parte destra un gruppo di uomini sta abbattendo la parete.

Il transito avvenuto in modo tanto straordinario ne aumentò la venerazione. E fresca, come i suoi fiori, si mantenne nel tempo. Nel 1372 sono documentati un altare a lei dedicato e un’iscrizione dove si ricordava come “Beata Uliva quae quondam vulgo Giulia dicebatur” (Beata Oliva che un tempo era detta dal popolo Giulia). Nel 1506 invece si trova come il Comune desse un contributo per la celebrazione della sua festa il 9 gennaio. Anche nel 1590 venne omaggiata con il rifacimento del suo altare e nel 1633 con la collocazione dei resti in una nuova urna, in ringraziamento per la protezione contro l’epidemia di pochi anni prima (la cosiddetta peste “manzoniana”).

Fu quindi beatificata da Pio VII il 18 maggio 1819. L’ evento e il suo secondo centenario sono stati ricordati nel 2019 con dei solenni festeggiamenti e con la cucitura di uno stendardo al presente custodito nella stanza dedicata.

Non mancarono in seguito altre vicende importanti relative al culto. Nel 1854, per gratitudine della difesa contro il colera, le fu edificata una cappella monumentale sul fianco sinistro della chiesa, opera dell’architetto senese Giuseppe Pianigiani. Fu smantellata però negli anni Sessanta del Novecento per far posto a un chiostrino asimmetrico. In tempi più vicini ai nostri, quasi come un ripensamento, le parti disperse che un tempo l’adornavano sono state recuperate e sistemate nel museo, a disposizione di chi volesse conoscerne la storia.

Nelle vetrine allestite appaiono i preziosi oggetti dell’attaccamento devoto alla beata. Attira l’attenzione per il gusto raffinato e la luminosità dell’argento, un suo busto reliquiario, commissionato dal frate agostiniano Domenico Conti e opera tra 1652 e 1653 dell’orafo fiorentino Paolo di Andrea Laurentini (1).

Paola Ircani Menichini, 26 marzo 2021.
Tutti i diritti riservati.

Reality Magazine, 99, marzo 2021.



(1) Vedi anche anche “Museo d’arte sacra di Certaldo”, a cura di R. C. Proto Pisani, Firenze 2006.






RICONOSCIMENTI


Le fotografie


– La chiesa dei Santi Giacomo e Filippo di Certaldo, foto di P.I.M., 2020.

– Tiberio Billò, II metà sec. XVI, Morte della beata Giulia, chiesa dei Santi Giacomo e Filippo, Certaldo.

– Lo stendardo commemorativo della beatificazione (1819-2019), foto di P.I.M., 2020.

– Busto reliquiario d’argento della beata Giulia, opera dell’orafo Paolo di Andrea Laurentini, foto di P.I.M., 2020.


Precedenti

«Cieri Upezzinghi ribelle a Valdiperga (Castellina Marittima)»

«Il Laudario di Pisa e gli inni a Giordano, Bona e Ranieri»

«Il parlamento dei liberi uomini di Bibbona»

«San Piero Piccolino e le Cascine Ferdinande di Pisa»

«Mone Tedicinghi di Volterra e famiglia (inediti)»

«Case e chiassi medievali di San Piero in Vincoli di Pisa»

«Giovanna «Contessa Bianca» (di Dante) a Cortona»

«Santa Innocenza a Piana e le vie romane antiche»

«Terre dei Cavalieri di Malta a Alberese (Grosseto)»

«Le mute campane – Breve storia di San Giovanni al Gatano di Pisa»

Presentazione virtuale del libro: I Frati Minori Conventuali di San Francesco di Volterra e altre vicende, 2020 «clic»