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Recluse a Volterra
(1293-1304)

[...] de Cristo fusti spoxa, | fusti chiamata recluxa [...], La regola e la vita d'i servi de la Verçene gloriosa (Ferrara), 1281, XVI.

Nel medioevo la qualifica di “reclusa” si trova in un legato del testamento di Bartolomeo de Lega (Thurleigh nel Bedfordshire), vissuto al tempo di re Giovanni d’Inghilterra (+ 1216): “Supertunicam de bifie dominae Luciae reclusae i(n) cimiterio sancti Eadmundi”. Il Du Cange sintetizza: “Memoratur Lucia hic modo reclusa”.
Questo aggettivo indicava una donna che si era confinata volontariamente in una stanza all’interno di una chiesa e da lì manteneva il contatto con il mondo attraverso una fenditura: assisteva alla messa e riceveva i sacramenti e il cibo, conducendo vita di preghiera e penitenza.
Esempi vi furono anche in Italia. Alcune donne, tra 1293 e 1304, dimorarono nella località “A Fuori” di Volterra, in delle celle dietro l’abitazione della famiglia di Michele del fu Errigo Fabri della contrada di Piazza. La prima reclusa ebbe nome Soavie da Firenze, le altre giunsero successivamente e si chiamarono Cecca e Lori. Furono addette ai “divino servitia” – far penitenza e pregare – e le cellettevennero loro concesse vita natural durante. Ebbero come regola essenziale la vita casta, ma rimasero libere di porre fine alla reclusione quando lo avessero voluto.

Il primo atto che le ricorda fu scritto le calende (primo) di giugno 1293. Contiene disposizioni testamentarie di Michele Fabri concernenti i parenti che erano la sorella Contelda, il fratello Puccio e la moglie Tora del fu Bendassiena. Menziona anche le elemosine legate agli enti religiosi della città, tra i quali la cattedrale, San Pietro in Selci, Sant’Agostino, i Frati Minori, e ad alcuni ospedali. Riguardo a Soavie si legge:
“Item domine Soavie florentine recluse ad divino servitia in quadam cellula domui mee posite a Fuore, cui ante est via et est ex unum latus ex alia latera et retro est mei ipsi Michaelis, iudico et relinquo habitationem dicte cellule tempori vite sue quousque ibi reclusa stare voluerit et vitam suam caste tenere”.

Michele fece riscrivere il testamento il 16 marzo 1300:
“Item pro salute et remedio anime mee et meorum mortuorum domine Soavie florentine et dominabus Cecche et Lori reclusis ad Dei servitia peragenda in quibusdam cellulis mee dom. posite a Fuore cui ante est via publica et ex iiii latere a retro est mei ipsi Chelini, iudico et relinquo habitationem dictorum cellularum toto tempore vi(t)e eorum et quousque ibidem recluse ferre voluerint et vita suam cum castitate servare. Quas cellulas dicte domus volo et dispono eas esse in perpetuum ad usum et habitationem volentium in eisdem morare et stare recluse ad Dei servitia ad modum reclusarum facientium penitentiam quibus reclusis que ibidem morabuntur dare volo et mando per meos fidecommissos ...”.
Qualche pagina dopo Michele menzionò la casa a Fuore “prope muros dicte civitatis”.

In un terzo testamento datato 18 novembre 1304 Michele ebbe sempre a cuore la salute e rimedio della sua anima e dei suoi morti e fece scrivere:
“ [...] dominabus Soavie, Cecche et Lori reclusis ad Dei servitia peragenda in quibusdam cellulis mee domus posite prope civitatem Vulterre in loco dicto ad Fuore cui ante est via publica ex iiii latere est mei ipsi Michaelis , iudico et relinquo habitationem dictorum cellularum toto tempore vite eorum et quousquam ibi recluse stare voluerint et vitam suam cum castitate servare, quas cellulas et earum qualibus domus predicte volo et dispono eas esse in perpetuum ad usum et habitationem volentium in eisdem stare et morare recluse ad Dei servitia peragenda ad usum et morem reclusarum facentium penitentiam ut ipse recluse perpetuo meam animam habent suis orationibus conmendatam”.

Paola Ircani Menichini, 15 novembre 2019. Tutti i diritti riservati

La parte del testamento del 1304 riguardante le recluse di Volterra.