Principi e leoni
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Principi e leoni

I simboli del potere nella prospera
Firenze e il serraglio delle fiere


Nella “Miscellanea Fiorentina” di Iodoco del Badia si riporta, con abbondanza di particolari, il modo in cui si svolgeva la festa del patrono San Giovanni a Firenze nel tempo del granduca Ferdinando II dei Medici (1620-1670). Si tratta dei ricordi manoscritti di tre garzoni di camera - che erano gli uscieri o gli assistenti del tempo -, in carica nel periodo compreso tra il 1638 e il 1653.
“Ci tocca” a essere, “ci tocca” a fare, “ci tocca” a provvedere … scrivono, usando, per elencare i compiti, un modo di dire alla toscana, diventato poi sinonimo di una certa insofferenza verso i lavori di servizio.

Riguardo alle loro mansioni, ben specificate, il 23 giugno, vigilia di San Giovanni, dovevano “fiorire” la “zana” o cesta - da donare al serenissimo granduca - con 25 fiaschi di vino bianco, 100 melarance, quattro paia di capponi, 25 libbre di vitella; la sera invece erano tenuti presentare l’offerta ai Magistrati. In altri giorni o tempi “toccava” a loro di ordinare lo sparo dei razzi, di abbellire la facciata di Palazzo Vecchio, di “mettere la corona al lione di Piazza” (al marzocco) o di pensare più prosaicamente alle scope e alle pulizie. I compensi erano adeguati e a volte in “natura”. Il 24 giugno di un anno non scritto, ad esempio, ricevettero 12 libbre di vitella da Lazzaro Formigli “che dà la carne per i leoni”.

I suddetti animali allora non costituivano una novità a Firenze perché rappresentavano una secolare consuetudine pubblica. Testimoniavano l’orgoglio dei cittadini che avevano preso come simbolo della loro potenza proprio il marzocco, ovvero il leone araldico che con la branca destra regge lo scudo col giglio. Non contenti, avevano voluto avere pure degli esemplari in carne e ossa da ostentare a se stessi o ai signori e visitatori.
Nel Duecento i leoni stettero alloggiati in piazza San Giovanni, poi presso San Pier Scheraggio e, circa dalla metà del secolo XIV, nel serraglio accanto al Palazzo della Signoria con a disposizione un cortile. Pare figliassero una volta l’anno e in certi tempi avessero raggiunto un numero oltre la ventina. Hanno memoria oggi nel nome della via che si snoda tra piazza del Grano e piazza di San Firenze. Ed è rimasta nella toponomastica grazie alla gran popolarità del serraglio, che però di fatto fu trasferito già nel 1550 nelle stalle vicino a San Marco, nel fabbricato che Niccolò da Uzzano aveva voluto per la Sapienza.

A imitazione della Repubblica e dei regnanti di Firenze anche un certo numero principi tennero presso i loro palazzi dei leoni che a volte ebbero in dono proprio dai Medici. Nel maggio 1542 Cosimo I ne inviò un paio a Otto Enrigo conte palatino, nel marzo 1548 mandò due cuccioli a Enrico II re di Francia che voleva contentare la moglie, la celebre regina Caterina; nel 1568 Francesco I ne donò altri due a Vincenzo I Gonzaga di Mantova.


Non solo re, ma anche alti funzionari ne ebbero il desiderio se nel 1560 il duca Cosimo ricevette la richiesta di un leone maschio giovane per conto del castellano di Piacenza don Alonso Piementel che aveva una leonessa solitaria e desiderava far razza.
Comunque l’Africa e l’Asia dovettero sempre ospitarne un discreto numero e essere buone riserve per le corti che si affacciavano sul Mediterraneo. Si ricorda come, nel 1574, il sultano dell’impero ottomano Selim II, figlio di Solimano il Magnifico, ordinasse di mandare alcuni leoni assieme a bellissimi “cavalli … et altri animali” al re di Francia, facendoli imbarcare su tre navi approdate poi a Marsiglia. Nel 1586 altri cavalli, leoni e struzzi giunsero a Livorno come dono di Mehmet pascia di Algeri al granduca Ferdinando I; e anche nel 1662 dei leoni e due gazzelle giunsero in Toscana omaggio del pascià di Tunisi al sovrano Ferdinando II.

Nel secolo successivo, di pari passo con il ridimensionamento politico del granducato, venne meno apprezzata la mostra dei leoni. Si arrivò ad abolire il serraglio di San Marco nel 1777 per volontà del granduca Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena in ossequio a dei più prosaici motivi d’igiene.

Si concluse così, molto sommessamente - nel secolo più razionale e pretenzioso riguardo all’ordine da dare alle cose e alle narrazioni -, un’usanza che risaliva ai tempi gloriosi dell’Italia, e che dovette avere origine o almeno una “renovatio” (se si considerano i leoni degli antichi Romani) in un avvenimento rimasto memorabile in tutto il mondo medievale e di certo venuto alle orecchie dell’ambiziosa Firenze.

Ne parlò Giovanni Gherardi da Prato (+ ante 1446) nel “Paradiso degli Alberti” quando ricordò la magnifica festa promossa nel 1220 a Palermo dallo “stupor mundi” Federico II di Svevia per la sua esaltazione al trono imperiale. Vi parteciparono re e nobili di tutte le nazioni e gli spettacoli pubblici furono eccezionali. Anzi, il loro splendore, commentò il Gherardi, fu superiore a quello che avrebbe potuto manifestarsi in Siria e nei favolosi regni orientali.

Lo stesso sultano d’Egitto, che dominava su una di queste terre, mostrò la sua grandezza presentando a Federico “più e più di ragioni animali e dimestichi e feroci: prima molti cavalli corridori, dapoi molti leoni con alcuno leofante e altre meraviglie …”.


Paola Ircani Menichini, giugno 2020. Tutti i diritti riservati
Pubblicato in Reality Magazine, 96




Didascalie alle foto
1 - Nella testata: Il leone e il sole dell’impero persiano, di alexpressed su Flickr (Pinterest).
2 - Un leone e il cucciolo, da “Stunning images of lions in Africa showcase work of 10 photographers”, in dailymail.co.uk.
3 - Il marzocco di Firenze.
4 - Il Leone di Giuda ad Addis Abeba, autore G. Gardet, 1930 (da Wikipedia).
5 - La porta dei Leoni a Micene, XIV secolo a.C. (da Pinterest).