RICORDARE E COMPRENDERE home


Porto Catino
tra la foce della Fine e Vada

Il singolare ricordo di un “porto Catino” situato tra la foce del fiume Fine e Vada si trova in una lettera dell’11 aprile 1565 scritta da Rosignano dall’ufficiale responsabile capitano Andrea Colleschi da Palaia (detto Tartaglia) al marchese Piero del Monte a Santa Maria, suo superiore e uomo di fiducia di Cosimo I.
La memoria del porto si associa ad alcune richieste dello stesso ufficiale che era stato da poco preposto dal principe alla “cura di queste Maremme”. Infatti aveva fino ad allora fatto riferimento al capitano Luigi Dovara (1535-1596), ora ritornato in Lombardia in quanto di patria milanese. Pertanto non sapeva come si doveva “governare” nelle contingenze di quell’anno. Soprattutto era preoccupato delle minacce esterne e degli abitanti maremmani che erano “scredenti, e qui ogni giorno si vede galeotte di turchi, io attenderò a procurare al meglo che potrò che non ci faccino dispiacere, fra tanto si provederà, mando un poco di nota ce ne molta necistà perché patiscano questi castelli …”.
Ovvero Tartaglia mise in evidenza nella lettera la più grave e imprevedibile delle minacce: quella dei corsari turchi, che numerosi incrociavano al largo e che in ogni momento potevano sbarcare e rapinare i poderi indifesi e il castello. Gli abitanti, definiti “scredenti”, però non sembravano preoccuparsene.
Del Monte ricevette la lettera di Tartaglia e rispose velocemente il 12 aprile mandando una copia “dei luoghi” da “custodire”.
Il 15 aprile il capitano però gli inviò una seconda missiva dicendo che non avrebbe mancato di fare ciò che gli era richiesto e che avrebbe cercato di “giovare ... a questi populi e li terrò vigilanti ... sono maremani e sono scredentissimi”– ripeté nello scritto. Aveva già mandato loro una istruzione ed era pratico: “in queste Mareme dico che senza il timore non acade fare né capi né guardie e il timore viene dal gastigo”. Il suo problema insomma era la mancanza di autorità per far eseguire gli ordini impartiti.
Aggiunse poi: “Et di più detti nota di certti bisogni che aveva di muragla e rassettamenti Riparbella, Rosignano e ‘l Gabro ed era cosa necessaria e poca spesa che andava a spese de’ comuni” ...
Poi scrisse la nota inconsueta su porto Catino:

“... ancora bisognerebbe mettere dua guardie a piedi alla cala di porto Catino, e si metteranno se V. S. se ne contenta perché sono di inportanza, la qual cala è fra Vada e la foce di Fine, e molto noto a corsali ...”.
Ricordava il porto dunque come una cala ovvero un’insenatura marina aperta, con acque poco profonde. Forse aveva forma circolare, come appunto un catino. Quasi ignota a tutti, ma non ai pirati, forse fu per questa piccolezza che era sfuggita alla lista dei luoghi da custodire ... e sfugge oggi al ricordo storico. Non ha infatti altre menzioni, a quel che ho potuto vedere. Le mappe superstiti (cfr. l’esempio sotto) segnano tra la foce della Fine e Vada solo il luogo “Pietrabianca”.
Continuando nella lettera, Tartaglia fece presente anche il problema del “borgo di Rosignano”, del suo sgombero e della poca disponibilità di quelli del castello a ricevere gli evacuati. Precisò poi che i borghi erano tre “e sarìa grande errore a non sgonberare sendo sfasciati. Io mi risolvo stare tre dì e tre notte in boscato co’ buona parte di cavalli e di archibusieri per vedere se questi corsali che ci agirano credessimo che noi fussimo alla predica in questi santi ...”.
In altre parole, il capitano si impegnava a fare evacuare i tre nuclei abitativi non difesi e malridotti nei pressi il castello e a stare imboscato tre giorni e tre notti con i suoi bene armati perché i corsari, che giravano attorno, potevano approfittare della settimana santa nella quale o non si lavorava o c’era poca vigilanza per le celebrazioni e le prediche consuete. La Pasqua del 1565 infatti sarebbe caduta il 22 aprile.

Paola Ircani Menichini, 20 luglio 2019. Tutti i diritti riservati.

“Carta che dimostra la direzione della Strada Emilia, dal Mozicone, a Fosso Chiaro, e Strade diverse”, 1760-1780 (part.). Tra la foce della Fine e Vada si legge solo “Ponte della Pietrabianca”.