Un delitto a Pisa nel 1301 (ai tempi di Dante)
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Un delitto a Pisa nel 1301(ai tempi di Dante)


Nell’autunno del 1301 Dante Alighieri, che si trovava fuori Firenze, fu costretto a lasciare la città e la famiglia.
Non tornò più in patria ma, esule, percorse l’Italia soggiornando in vari luoghi che si ricordano nel 2020-2021 nelle celebrazioni del 700mo della sua morte avvenuta a Ravenna.
Nel suo peregrinare il Poeta non lasciò una memoria diretta di una sua dimora a Pisa che per questo non viene considerata “città dantesca”.
Tuttavia è altamente probabile che vi possa essere stato almeno di passaggio, diretto altrove.
Depone a favore di una sua visita la celebrità di Pisa medievale.
Una domanda comunque può venire in mente, anche solo a livello teorico: se vi fosse stato, quale aspetto e quali persone avrebbe potuto conoscere proprio in quel fatidico 1301, quando definitivamente non volle ritornare in patria, a Firenze? Rispondono in modo parziale i manoscritti d’archivio, nei quali appaiono originali personaggi e vicende.
Uno di questi ha la data del 7 febbraio 1301 e ricorda un delitto.

Il delitto. Nella trascrizione fatta dal notaio Macinghi di un documento della pubblica cancelleria del comune di Pisa, si ricordano due fratelli fiorentini: Pagno detto Moracchino e Iacopo soprannominato Bertacchino figli del fu Berto del popolo di San Pier Gattolini, “qui rediti et reddire consueverunt in domo Gratini albergatoris de cappella Sancti Georgii Portemaris” di Pisa – i quali ritornano e hanno consuetudine di ritornare in casa di Grazino albergatore della cappella di San Giorgio di Porta a Mare.
Il motivo della copia fatta dal notaio sulle loro vicende si doveva al fatto che i due erano stati accusati e denunziati all’autorità pubblica da un testimone oculare, Vanni del fu Guidotto della stessa parrocchia, di aver commesso un efferato delitto per denaro, a richiesta di una donna anche lei parrocchiana: Guida vedova di Leffo, già nemico di Vanni.
“... Adpensate irato e malo animo” – con soppesato animo irato e malvagio – i fratelli erano giunti al lato della vittima, Pino del fu [...] Guidotti della stessa parrocchia, fratello di Vanni, e con i coltelli l’avevano aggredito e percosso.
Le ferite erano state fatte “in facie et in spalla cum dictis cultellis ex quibus percussionibus et vulneribus multus sanguis exivit” – nel volto e nella spalla con i detti coltelli, e dalle percosse e dalle ferite era uscito molto sangue –.
[Purtroppo la linea di piegatura della carta e le sue cattive condizioni ci impediscono di leggere bene il patronimico della vittima.
Inoltre, se non sbagliamo l’interpretazione, “... quod germani tamquam assessini ad petitione domine Guide relicte Leffi [...] olim inimici supradicti Vannis”, significa che i due fratelli assassini erano stati i sicari della mandante Guida di Leffo, un tempo nemico di Vanni.
Si trattava di una faida di famiglie, come in un ‘romanzo criminale’].
“Et hoc fuerunt Pisae in cappella Sancti Donati de presenti mense februarii in quo sumus scilicet die kalendarum februarii in sero post penam duplam in crepuscolo” – e questo avvene in Pisa nella cappella di San Donato nel presente mese di febbraio, in cui siamo, nel giorno delle calende (il primo), di sera al crepuscolo, e per questo comporta una pena doppia –.
A causa delle ferite e delle percosse Pino nella notte “mortuus fuit”.
Di conseguenza dominus Martino, giudice della corte dei malefici della città, aveva preso provvedimenti e nella casa dell’albergo di Grazino aveva fatto proclamare ad alta voce da Giovanni da Sant’Ilario, nunzio del Comune, l’ordine del podestà: che i due fratelli si presentassero presso il giudice a difendersi e a giustificarsi.
“Et non venerunt”, si scrive.
E non vennero.
Dopo di che da parte di dominus Pocaterra da Cesena podestà tramite Bencivenni pubblico banditore del comune i suddetti furono condannati a pagare una multa di lire 2000.
E inoltre – si ammonì – se in qualsiasi tempo fossero pervenuti “in sentenza” del Comune, avrebbero dovuto patire quella pena corporale che sarebbe stata comminata loro al tempo del maleficio commesso e provato contro di loro.
Sempre secondo la sentenza, qualora non fossero venuti a giustificarsi presso il giudice, sarebbero caduti in bando e a chiunque avesse dato loro aiuto, consiglio o fatto un favore sarebbero state comminate lire 100 di pena.
“Chiunque” inoltre avrebbe potuto offenderli nella persona e nei beni impunemente e senza incorrere nel bando del comune di Pisa.
La carta fu scritta le settime idi (il giorno sette) del febbraio 1301 in Pisa “in platea Sancti Ambrosii q.
est ante platea domini potestatis” – nella piazza di Sant’Ambrogio che è davanti alla piazza del podestà –, presenti come testimoni Michele da Malaventre e Argomento notaio.
Dopo di che Fanuccio banditore del comune relazionò a Ranieri notaio di Volmiano, scriba della cancelleria del comune di Pisa, come lo stesso giorno 7 avesse reso pubblico ad alta voce con la proclamazione l’“exbannimenta” – i bandi – di Pagno e Iacopo presso la casa di Grazino albergatore della cappella di San Giorgio di Porta a Mare, nella quale, si ripete, i due avevano la consuetudine di ritornare.
Segue il segno e la dichiarazione del notaio che era di famiglia fiorentina: “Io Lorenzo di Francesco Macigni giudice imperiale e notaio trovai tutte queste cose negli atti della cancelleria del Comune di Pisa, e quindi le trascrissi e redassi in pubblica forma”.


Qualche nota.
La chiesa di San Giorgio a Porta a Mare esiste ancora a Pisa nelle vicinanze di Piazza Carrara.
È fatiscente e chiusa al culto e al pubblico.
Di costruzione medievale, era parrocchia al tempo del delitto.
Nel Cinquecento sarebbe diventata semplice beneficio.
La Vita di San Ranieri ricorda che “ne’ tempi felici della Repubblica Pisana” in essa “si soleva fare le cerimonie di porgere lo stendardo, ed il bastone ai generali, che erano destinati a comandare l’armata e l’esercito de’ pisani”.
L’albergo di Grazino (forse) si affacciava sul vicino Lungarno Pacinotti.
La chiesa di San Donato non era molto lontana da San Giorgio sempre nel quartiere medievale di Porta a Mare.
Era anch’essa parrocchia.
Nel secolo XVII sarebbe stata racchiusa dal Palazzo Reale, oggi sede del Museo e della Soprintendenza.
La chiesa di Sant’Ambrogio (al Castelletto) è anch’essa scomparsa.
Fu parrocchia e cappella particolare dei soldati che stavano a guardia degli Anziani della Repubblica.
Come si legge nell’atto, la piazza della chiesa era ubicata davanti alla piazza del podestà.
Pocaterra da Cesena, podestà, infine, appartenne a una nota famiglia ghibellina e per sei mesi del 1297 fu podestà di Arezzo, città nella quale ritornò nel 1301 e nel 1316.
Il Tronci (Memorie) lo ricorda a Pisa in modo dubitativo riguardo all’anno 1300 10.
Sciogliamo l’incertezza in questo articolo.

Paola Ircani Menichini, 13 novembre 2020.
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