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Quando il Fitto di Cecina si chiamava Beccanibbio


Il 6 aprile 1598 il vescovo di Volterra Guido Serguidi si trovava nel territorio di Bibbona per compiere la visita pastorale, ovvero per accertare qui (come altrove) le condizioni degli edifici religiosi e del culto. Forse perché era anziano e malato – sarebbe deceduto il primo maggio –, quel giorno si trattenne nel castello in collina e mandò il vicario e il preposto al piano per l’esame dei due oratori lì presenti:

1) L’ “oratorium situm in sala palatii loco dicto al Ponte di Cecina quod est parvulum latitudinis, et longitudinis bracchiorum quatuor, et fuit costructum de mandato serenissimi magni Ducis, ut qui laborant in ferreria dicti loci diebus foestivis audire valeant sacrificium Missae”. [L’oratorio posto nella sala del palazzo nel luogo detto al Ponte di Cecina, il quale è di piccola larghezza e di lunghezza quattro braccia (= m. 2,32), e fu costruito su mandato del serenissimo granduca, affinché quelli che lavorano nella ferriera siano in grado di ascoltare il sacrificio della Messa nei giorni festivi].
A lato: “Oratorio del palazzo di Becca Nibbio”.
Nella chiesetta il vicario accertò la presenza dell’altare di pietra, del pallium (= velo) che – fu riferito – era di proprietà della confraternita di Montescudaio, come lo erano le tovaglie della mensa, e constatò la mancanza dell’icona “sed est muro depicta Pietas Beatae Mariae cum duabus figuris a dextris, et a sinistris, et volta ipsius sacelli est depicta Nomen Iesu cum misteriis Passionis satis decenter” [ma nel muro è dipinta la Pietà della Beata Maria con due figure a destra e a sinistra e nella volta dello stesso tempietto è dipinto il Nome di Gesù con i Misteri della Passione in modo abbastanza dignitoso] *.
Verificò poi sull’altare la croce lignea dorata, due candelabri, un bel messale di rito romano di proprietà e il calice con patena bisognoso di doratura. Scrisse però che apparteneva a Santa Maria della Pietà di Bibbona, al pari di una pianeta bianca di seta e di altri paramenti.
Vide anche il cancello di legno graticolato del tempietto non chiuso da chiave e apprese che la celebrazione della domenica era fatta “per unum ex fratribus beatae Mariae dei Bibbona” [da uno proveniente dai frati della Beata Maria di Bibbona]. I sacramenti della penitenza e dell’eucarestia inoltre si impartivano ai “ministri” (= dirigenza) e agli operai del luogo solo per la Pasqua di Resurrezione e quando ne fosse occorsa la necessità.
Fatta la visita, il vicario dette le disposizioni opportune, ordinando in particolar modo di provvedere ad acquisire dei propri oggetti sacri dopo la restituzione di quelli condivisi con gli altri enti religiosi del territorio. Quindi si recò a:

2) L’ “oratorium in loco dicto al Forno, seu edificio ferreriae serenissimi magni Ducis, quod est longitudinis bracchiorum octo latitudinis sex, et tantumdem altitudinis”. [L’oratorio nel luogo detto al Forno, ovvero l’edificio della ferriera del serenissimo granduca, il quale è di lunghezza otto braccia (= m. 4,64), di larghezza sei (= 3,48) e di altezza uguale].
Qui accertò che l’altare e gli oggetti sacri erano ben tenuti e il pallio rosso “in sgabello”. Riscontrò la croce con due candelieri lignei dipinti. Non vide l’icona “sed in pariete adest depicta imago Domini Nostri Iesu Christi crucifixi, cum quibusdam aliis sanctorum imaginibus” [ma nella parete si trova dipinta l’immagine del Signor Nostro Gesù Cristo crocifisso, con qualche immagine di altri santi]. Tetto, pareti e pavimento inoltre erano in buono stato. La porta di legno aveva la chiave.
In questo oratorio era il prete Paolo dei Giacomelli di Pistoia che celebrava la Messa tre volte la settimana e nei giorni festivi e riceveva in pagamento dal locatario dell’edificio 25 lire al mese più le spese del vitto. Solo una volta l’anno si amministrava il sacramento della penitenza e dell’eucarestia alla “famiglia” (= gli addetti) del posto, non essendo presente la cura delle anime **.

Paola Ircani Menichini, 7 giugno 2019. Tutti i diritti riservati.

* Pittura murale oggi al Museo della Cinquantina di Cecina.
** In “Tre chiese a Cecina” avevo scritto di San Ranieri del Fitto e di San Nicola della Magona (1777).