Castel Volterrano di Val di Cecina e i lavori del ‘magister lapidum’ del 1305

Seguire dei documenti sui luoghi scomparsi della Toscana è un po’ come una ricerca del tempo perduto di ispirazione proustiana. E del piccolo centro di cui si parla non sono rimaste in mezzo a delle boscaglie, e già da molto tempo, che delle rovine, dei grossi sassi accatastati.
Siamo a Castel o Castello Volterrano nella zona di Castelnuovo Val di Cecina nelle Colline Metallifere della provincia di Pisa. Comunello medievale un po’ misterioso, venne descritto dal Repetti nel suo Dizionario (1843) e dal Targioni Tozzetti nelle Relazioni dei viaggi (III, 1769) in modo simile. Lo storico carrarese impiegò poche frasi:

“ ... in Val di Cornia. Rocca diruta che diede il nome a un comunello con chiesa [Sant’Andrea], detta poi la Cappella Lotti, filiale dell’antica pieve a Morba, circa 2 miglia toscane a ponente di Castelnuovo di Val di Cecina. Le sue rovine s’incontrano sul giogo del monte che para il ponente a Castelnuovo fra le sorgenti del fiume Cornia e quelle del torrente Possera. Il Castello Volterrano formava ancora comunello da sé, quando fu redatto lo statuto di Volterra del 1411”.

Resta quindi di soddisfazione, tra le poche notizie sul luogo, leggere un documento del 1305 sul completamento della sua fortificazione ad opera di un muratore locale.
Come premessa sul motivo per cui fu intrapreso il lavoro, va ricordato l’ambiente politico toscano che ne produsse la necessità. Allora non era dei più tranquilli e in molte città si cominciava ad aver paura dei nemici esterni. La formazione nel 1301 di una lega contro Pistoia e le fazioni dei guelfi bianchi e neri di fatto rendeva probabile un’acerrima guerra (che poi avvenne e durò a lungo). Pertanto si cercò di provvedere come meglio si poteva, ovvero salvaguardando i confini del proprio contado. Già nel 1301 fu progettato dal comune di Volterra il rafforzamento di Castel Volterrano “sotto la cura di Ugolino di Ranuccio Allegretti”, scrive il Maffei. Quindi venne allargata l’influenza cittadina su Montecastelli (valle del Pavone, Alta Valdicecina) e Cedri (Peccioli, Valdera).
Nel 1305 a Castel Volterrano l’opera fu realizzata proprio quando le guerre contro i fuoriusciti bianchi cacciati da Firenze e i ghibellini espulsi da Volterra si erano fatte più minacciose e, su iniziativa di Firenze e degli alleati, si era costituita l’adunanza della lega guelfa con a capo Roberto di Calabria.
La pergamena che cita i rifacimenti inizia, come tante altre, con: “In Dei nomine amen. Pateat publice quod ...” (Nel nome di Dio, amen. Sia manifesto pubblicamente che ...). E prosegue ricordando come Parentino del fu Venuto “magister lapidum de Castro Vulterrano” nominasse suoi procuratori Gentile del fu Tedesco e Masino di Giovanni da Volterra della contrada di Borgo Santa Maria “ad petendum, exigendum et recipiendum” (per chiedere, esigere e ricevere) dall’economo del comune della città 93 lire in una o più paghe.
Il maestro muratore doveva avere tale somma per quanto già costruito o da costruire, ovvero per il prezzo di “muri, portarum et merlorum et pectoralium quos facere debet apud Castrum Vulterranum super muro castellano ipsius castri secundum formam pactorum initorum inter ipsum Parentinun et Falconcinum sindicum comunis vulterrani” – di un muro, porte, merli e pettorali [= parapetti] che doveva fare presso Castel Volterrano sopra il muro del castello secondo la forma dei patti stipulati tra lo stesso Parentino e Falconcino sindaco del comune di Volterra –.
Tali accordi erano stati messi su carta da Bartalino di Corso, lo stesso notaio che ora nel 1305 pubblicava la procura di Parentino, in città nel palazzo del signor Federigo della contrada di Sant’Angelo, presenti Muzzo di ser Simone e Vanne di Iacobo da Volterra testimoni.

La presenza di un ‘maestro di pietre’ a Castel Volterrano testimonia una progettata organizzazione del piccolo centro e di conseguenza un auspicabile sviluppo della sua comunità, la stessa che nella seconda metà del quattrocento avrebbe beneficiato della presenza di un notaio di Volterra con l’obbligo di residenza e con incarico semestrale retribuito (Statuto CCLXV).
Non era il solo esempio. Altri castelli con le loro ‘corti’ disseminavano la zona con la stessa finalità di presidio del territorio e delle pregevoli strade montane tra Volterra e Siena.
Erano stati eretti in tempi più antichi vicino a una fonte per l’approvvigionamento necessario di acqua. Avevano ospitato degli abitanti che si erano radunati in un comune (milizia rurale) e che furono allo stesso tempo coltivatori di terra strappata ai boschi. Furono anche, a quel che appare dal catasto quattrocentesco, tradizionali allevatori di capre, di pecore a “soccio” (in società), di bovi, di maiali e di asini.
Ricevettero un sostegno – si vede nei documenti di tanti territori depopolati di Toscana – dalla presenza di un monastero benedettino che in questo caso fu a San Dalmazio e che fece la sua parte nella salvaguardia dei luoghi e degli itinerari antichi.

Paola Ircani Menichini, 22 giugno 2023.
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