1597 – La vecchia badia dei XII Apostoli e altre chiese di Collesalvetti
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1597 – La vecchia badia dei XII Apostoli e altre chiese di Collesalvetti


Il 22 aprile 1597, mons. Giuseppe Bocca vicario dell’arcivescovo di Pisa, giunse, per compiere la visita pastorale a Collesalvetti.
Trovò le chiese della zona in condizioni pessime per varie e ineluttabili cause: le guerre, l’incuria e lo spopolamento che per secoli avevano lasciato un pesante segno nella vita degli abitanti.
La pieve detta di Sant’Iacopo di Vicarello era “diruta” e quasi spianata e, poverissima, era già stata unita dall’arcivescovo Borbone (+ 1575) alla chiesa parrocchiale dei Santi Quirico e Giulitta di Collesalvetti che ne aveva preso anche il titolo.



L’abbazia dei XII Apostoli a San Martino era anch’essa “diruta iam pluribus annis elapsis et est fere solo aequata et apparet ex vestigiis eius et ruinis fuisse magna ecclesia” (rovinata già da molti anni passati ed è quasi spianata al suolo e sembra dalle vestigia e dalle rovine come fosse una grande chiesa). Ciò nonostante aveva il rettore, prete Francesco dei Cimarelli, nominato tale con provisione apostolica fatta a Roma nel 1594.
Gli introiti dell’abbazia ammontavano a 85 scudi che erano pagati per i suoi beni dagli agenti del granduca, e al presente da Pier Antonio Fraschetti, soprintendente dello Scrittoio delle Possessioni di Pisa (delle quali l’abbazia faceva parte dal 1554). Dell’ammontare totale ne andavano 27 annui al rettore di Collesalvetti perché “antiquis termporibus” “fuit translata in dicta ecclesia parrochiale del Colle ad altare positum a mano destra in introytu”.
Monsignore aggiunse (traduciamo): ... E perché le chiese parrocchiali curate povere della Maremma pisana della diocesi di Pisa non possono mantenere i loro rettori, fu fatto decreto che la chiesa dei XII Apostoli fosse unita alla parrocchiale e venissero smembrati i suoi redditi, senza pregiudizio del presente rettore, secondo la forma del sacrosanto Concilio di Trento.
Essendo infatti molto povere le parrocchiali e curate di Santa Maria di Castellanselmo e di San Martino a Torciano (Parrana), non potendo anch’esse mantenere il rettore stabile, vi unì la metà dei frutti dell’abbazia dei XII Apostoli alle due chiese.
Non avendo poi l’altare dei XII Apostoli nella chiesa di Collesalvetti, una icona dignitosa, e i paramenti necessari per celebrare, decretò che Pier Antonio gestisse i beni dell’abbazia in suo nome, sequestrando nelle sue mani tutte le entrate fino a che non si fosse provveduto alle cose necessarie.
In particolare doveva far fare l’icona di legno contenente l’immagine dei XII Apostoli, una predella, una pietra consacrata, un paliotto di cuoio dorato, tre tovaglie, due cuscinetti per l’altare, una croce, e candelieri di legno con i piedi di legno dipinti, un calice con patena, corporali, veli, e altre cose indispensabili per la santa messa.
Fraschetti poi doveva poi dare le dette cose al pievano di Collesalvetti, a sua volta tenuto a scriverle nell’inventario da consegnare alla corte arcivescovile. Il pievano oltre a ciò era obbligato il giorno di Tutti i Santi celebrare la festa all’altare dei XII Apostoli con più messe che poteva, almeno tre, e i giorni dopo la commemorazione dei morti con due messe per l’anima dei defunti e benefattori.
Considerato infine che la chiesa di Collesalvetti era stretta e bassa e non era capace di del popolo di detta villa – aggiunge in volgare –, “et si spera che S. A. [Ferdinando I] un giorno, per la pietà che suole havere verso il culto divino, et per la mera sua liberalità la debba accrescere, et perché si possa esequire più facilmente, profanò la detta chiesa dei 12 apostoli, dando licentia alli agenti di S.A. che per servitio della chiesa di Colle, et non per altro uso si possino servire di quelle rovine, et materiali che si ritrovano nella badia”.
Decretò anche che, a testimonianza che lì era stato un edificio religioso, nel suolo della Badia si innalzasse una croce di ferro sopra una colonna. Il tutto sempre per opera di Pier Antonio usando i frutti delle rendite di essa.
Così, dal 1597, scomparve dalla terra e lentamente dalla memoria, questo importante monastero che aveva segnato la storia del luogo.
All’atto della sua fondazione in un anno ignoto i Benedettini ne avevano fatto come un “portale” adiacente alla via “Romana”-Maremmana che dopo la piana di Pisa scendeva a sud a lato dei Monti Livornesi, in territori poco popolati. In seguito, prima della decadenza, l’avevano presa in carico e di nuovo organizzata i padri Vittorini di Marsiglia (11 luglio 1107). Erano venuti poi i tempi di guerra e incuria.



Tornando alla visita, lo stesso giorno monsignor Bocca visitò la parrocchia di Santi Quirico e Giulitta di Collesalvetti. Ne accertò le rendite e comandò di far fare in chiesa un ciborio dipinto per custodirvi la santa Eucaristia (con la lampada accesa davanti), la piletta per il fonte battesimale, l’inventario dei beni e altre cose. Ordinò inoltre che la domenica dopo la messa si insegnasse la dottrina cristiana al popolo e in particolare il Pater Noster, l’Ave Maria e il Credo – cose semplici per i poveri cristiani di allora.
Successivamente visitò la chiesa volgarmente detta di San Lorenzo in Piazza, posta nel comune di Castellanselmo, la quale era senza il tetto ma con le pareti. Al tempo dell’arcivescovo Rinuccini (+ 1582) era stata unita al Seminario dei Chierici di Pisa. Ora monsignor Bocca la fece profanare e trasferì il titolo all’altare maggiore di Santa Maria di Castellanselmo.
Lo stesso giorno il vicario si portò alla chiesa di San Michele nello stesso comune, e vide che pure essa era senza tetto e con le pareti. Risultava unita dall’arcivescovo Borbone (+ 1575) all’Università dei Cappellani di Pisa. Non aveva redditi per poterla restaurare e perciò comandò al rettore di Santa Maria di celebrare nella sua chiesa la festa del titolare San Michele arcangelo e il giorno seguente non impedito l’usuale commemorazione dei defunti.
Visitò anche la chiesa di San Cassiano sempre nel comune, diruta e quasi spianata al suolo. Pertanto la unì a Santa Maria assieme alle rendite e agli oneri di modo che potesse essere profanata e demolita del tutto.




Restava nella zona la pieve di Santa Maria di Castellanselmo, il cui rettore, prete Antonio Confortini, era assente ingiustificato e cui redditi erano accorpati con quelli di San Giusto a Parrana.
Il vicario constatò una situazione peggiore. Vide tra l’altro un calice bucato in più punti, rattoppato con della cera rossa, bianca e gialla, “cosa vergognosa”, da non poterci celebrare “senza grandissimo scandalo”. Pertanto lo profanò e lo ruppe.
Essendo inoltre la chiesa tanto priva di risorse da non poter mantenere il rettore stabile e nemmeno amministrare la comunione a 200 anime, vedendo poi che era senza porta e senza confessionale e che aveva pure il cimitero aperto che soffriva per le bestie, vi unì e incorporò la metà dei redditi dell’abbazia dei XII Apostoli, dedotti gli oneri per la chiesa dei SS. Quirico e Giulitta.
Raccomandò infine che il rettore di San Martino di Parrana si occupasse di persona della cura delle anime di Santa Maria fino a che non si fosse trovato un altro sacerdote stabile. Era accaduto infatti che una certa Caterina fosse morta senza sacramenti per l’assenza del rettore, ... “et quel popolo è restato senza essere curato, et senza messa, havendo prima riscosso tutte le entrate, non essendo ragionevole, che chi non serve, e non fa la cura habbia li emolumenti; et li restituisca ...”.
Monsignor Bocca concluse in questo modo la giornata e anche se non è scritto dovette fermarsi a pernottare a Castellanselmo. Mercoledì 23 aprile ripartì e si inoltrò a sud nella Maremma pisana incominciando dalla chiesa di Santa Lucia di Luciana ...

Paola Ircani Menichini, 4 settembre 2020. Tutti i diritti riservati.


Le foto riprodotte a partire dall'alto:
1) la visita pastorale del 1597 all’abbazia dei XII Apostoli;
2) una mappa del Catasto ottocentesco della zona;
3) la mappa di Google con i luoghi “Poggio Badia” e “Badia II” (da confrontare con quella sopra del Catasto).